Ansia che fare: la differenza tra ansia funzionale e disfunzionale

Significato etimologico

Etimologicamente il termine ansia deriva dalla parola latina “anxia” e indica una condizione di agitazione e preoccupazione dell’individuo caratterizzata da una spiacevole sensazione di pericolo che non ha una causa definita.
L’ansia è definita come “uno stato di tensione emotiva” (Funk e Wagnallas, 1963) caratterizzata da sintomi come tremore, sudore, palpitazione e incremento del ritmo cardiaco. È una reazione funzionale dell’organismo utile a segnalare la necessità di mobilitare risorse interne e motivare all’azione.

Significato evoluzionistico
In ambito etologico/evoluzionistico essa ha un significato adattivo per la nostra specie, utile a prevenire i pericoli legati alla sopravvivenza.

L’adattabilità in termini evoluzionistici, si riferisce ai comportamenti che hanno avuto nella storia della specie un valore legato alla sopravvivenza (Lorenz, 1980). L’ansia è un’emozione utile, di per sé quindi non presenta un disturbo, perché attiva il soggetto verso un’azione; quando però i livelli di tensione divengono eccessivi la normale attivazione dell’organismo viene meno e l’ansia diventa ingestibile.

L’ansia disfunzionale

L’organismo è formato di una serie di sistemi di autoregolazione, quali per esempio dei meccanismi inibitori, che gli permettono di proteggersi dai pericoli incombenti (Marks, 1969). L’ansia disfunzionale è considerata tale quando compare in assenza di uno stimolo reale e risulta ingestibile per la persona che la vive. Quando il livello di ansia è molto sproporzionato rispetto al rischio e alla gravità del possibile pericolo e se permane anche quando non esiste più un pericolo oggettivo, la reazione è considerata non funzionale (Beck, 1985).

L’ansia disfunzionale o disadattiva (di stress) compromette le relazioni con l’ambiente e ostacola l’adattamento compromettendo il benessere dell’individuo. L’ansia si esprime con uno stato di iperarousal psicofisiologico, con sintomi fisici, psichici e comportamentali difficili da gestire.

La sintomatologia

La sintomatologia è caratterizzata da palpitazioni e accelerazioni del battito cardiaco, sudorazione, tremore, sensazione di intorpidimento o di formicolio, sensazioni di soffocamento, nausea o di fastidio all’addome, tensioni e dolori muscolari, vertigini, paura di perdere il controllo e paura di morire, difficoltà nella concentrazione e nell’addormentarsi, incapacità di rilassarsi, irritabilità, perdita di interesse nei confronti dell’ambiente, agitazione e tendenza ad arrossire in pubblico (Pellegrino, 2004).

L’ansia disadattiva

L’ansia disadattiva esprime un profondo senso di smarrimento e una reale incertezza rispetto al futuro; le persone cercano di sopperire alla mancanza di sicurezza e all’incapacità di vivere nel “qui ed ora” controllando le svariate aree della propria vita fino al punto di essere paralizzate dall’ansia.
L’organismo funziona in modo complessivo per cui diversi sottosistemi primari quali, quello cognitivo, affettivo, fisiologico e comportamentale si coordinano flessibilmente disponendosi per il raggiungimento di obiettivi primari relativi alla sopravvivenza della specie (come l’autoconservazione, il nutrimento, la procreazione).
Nelle condizioni ordinarie l’organismo passa da una funzione all’altra secondo le richieste situazionali e le risposte adattive sono regolate a seconda delle esigenze della situazione reale. Si parla di disturbo d’ansia quando l’organismo è incapace di passare flessibilmente da un’operazione all’altra dei sistemi adattivi, ciò non permette le persone di uscire dalla “modalità pericolo” e quindi si rimane impegnati in un comportamento difensivo, anche se l’assetto situazionale è cambiato.

Le teorie psicologiche e l’ansia

Diversi approcci psicologici cercano di dare informazioni relative all’eziologia e al trattamento dei disturbi d’ansia.
Freud (1915-17) inizialmente propose che l’ansia fluttuante derivasse dall’accumulo della tensione sessuale. Successivamente teorizzò l’ansia come una reazione alla minaccia di impulsi inconsci che premono per irrompere nella coscienza.
La biomedica vede l’ansia come una risposta normale ed evolutivamente determinata alla percezione del pericolo. L’ansia diventa problematica e disfunzionale solo quando il suo substrato biologico funziona male (D. F. Klein, 1993).
Le teorie cognitive comportamentali concordano sull’esistenza di variabili biologiche di base che predispongono alcuni individui più di altri a sviluppare disturbi d’ansia (Beck &Emery, 1985). I cognitivisti partono dall’assunto che il comportamento dell’individuo è determinato più dai “processi cognitivi interni” che da contingenze ambientali, per cui l’esperienza viene conservata e interiorizzata in maniera organizzata nella memoria. Sono gli schemi cognitivi disfunzionali che in base all’anticipazione e all’aspettativa che l’evento minaccioso si verifichi a generare un livello considerevole di ansia. La persona in questione è convinta di non possedere abilità di coping e di fronteggiamento per quella determinata situazione. Nei disturbi d’ansia lo schema cognitivo consolidato riguarda l’irrazionalità valutativa della situazione pericolosa (distorsione cognitiva).
Tale distorsione cognitiva non viene disattivata ma mantenuta e confermata attraverso un processo di ruminazione. Ciò porta a risposte comportamentali motori osservabili (la fuga) e all’attivazione fisiologica; la fuga è l’unico modo che la persona conosce e lo stesso evitamento genera l’esperienza di apprendimento. Lo schema cognitivo di pericolo/minaccia s’innesca e consolida nel tempo, la presa di coscienza dello schema in atto, la modificazione e l’apprendimento di abilità di coping permetteranno una ristrutturazione cognitiva funzionale per fronteggiare la situazione ansiogena. (Beck, Emey 1985; Meichenbaum, 1977).
Le teorie esperienziali (May, 1979; Wolfe & Sigl, 1998) vedono l’ansia come basata su un senso vivo di minaccia per il benessere soggettivo di una persona; è solo attraverso l’esplorazione del significato implicito dell’ansia che si chiariscono i problemi di fondo (Wolfe, 2005). L’attenzione è focalizzata sulle difficoltà di elaborazione emozionale conscia degli schemi disadattavi emozionali, che come quelli cognitivi, guidano i sintomi osservabili (L. S. Greenberg, Rice &Elliot, 1993; Wolfe &Sigl, 1998).
Recentemente le teorie psicoanalitiche sull’attaccamento ci spiegano come le relazioni tra madre e figlio, mal funzionanti nei primi anni di vita, portano a strutturare stili di attaccamenti insicuri e a disturbi in età adulta. Bowlby considera primari i costrutti etologici darwiniani. La concezione della psicoanalisi bowlbiana è stata ampliata dal cognitivismo che considera la mente come un prodotto dell’evoluzione biologica, il risultato di lunghi processi di adattamento sui quali ha agito la selezione naturale. Gli stili di accudimento dei caregiver permettono la formazione di modelli operativi interni che vengono mantenuti anche in età adulta (Bowlby, 1988). Ciò struttura schemi cognitivi o mappe che guidano lo stile di interazione più consoni al maternage di riferimento.
Tali schemi sono strutturati su aspettative e previsioni; relazioni di attaccamento insicuro facilmente danno luogo a sindromi fobiche ed in età adulta è riscontrabile un forte stato di ansia e angoscia da separazione (Attili, 2001). Alcune forme di agorafobia nell’adulto, difatti, sostengono l’ipotesi di un modello operativo interno che controlla uno stile di attaccamento ambivalente (pattern C di attaccamento) centrato sulla dimensione dell’ansioso controllo di sé, dell’altro e della relazione. (Guidano, Liotti, 1985).
La dimensione più profonda dell’angoscia riguarda la paura della disintegrazione del proprio Sé. Tali studi clinici sono attribuiti a Heinz Kohut e alla psicologia del Sé.

Conclusioni

In conclusione la sintomatologia dell’ansia ha diversi significati per la persona che la vive. Per una maggiore comprensione, ogni approccio psicologico integra un proprio contributo significativo per permettere il ripristino di un equilibrio di omeostasi psico-fisiologica dell’individuo; gestire l’ansia significa individuare delle strategie integrate che permettono di ridurre gli effetti di stress psico-somatico. Importante distinguere quindi l’ansia funzionale adattiva, dall’ansia disfunzionale causa di insofferenza intrapsichica e spesso interpersonale.L’ansia va compresa nel suo significato soggettivo e nei processi di regolazione reciproca.

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Introduzione
L’argomento “ansia” è alquanto vasto, il capitolo in questione è denso, riguarda la parte introduttiva e si propone di offrire un quadro generale sul significato di tale fenomeno.
La prima parte del capitolo chiarisce l’etimologia della parola, il significato funzionale adattivo e disfunzionale dell’ansia legato agli aspetti psico-fisiologici. La parte centrale, prende in considerazione i diversi orientamenti psicologici che hanno contribuito a dare significato ai disturbi d’ansia.
I primi studi riguardano la teoria del conflitto di Freud, l’approccio cognitivo-comportamentale mette in rilievo l’importanza degli schemi cognitivi e l’effetto sul comportamento, la teoria esperienziale sposta l’attenzione sull’importanza di una elaborazione emotiva al fine di consapevolizzare ciò che si vive.

Non si poteva omettere la spiegazione “integrata” degli approcci psicologici di cui Wolfe (2005) ne è il fautore e di come lo studio delle più recenti teorie evoluzionistiche dell’attaccamento hanno contribuito alla ricerca psicologica in tale settore. L’angoscia in una dimensione più profonda intrapsichica e relazionale è studiata dagli psicologi del Sé.

L’ultima parte, inoltre, mette in rassegna in maniera sintetica i principali disturbi d’ansia.
Oltre l’aspetto nomotetico riguardante la conoscenza del funzionamento adattivo e disadattivo dell’individuo nelle diverse circostanze è importante non dimenticare l’aspetto idiografico e l’unicità che ha la persona nella peculiarità delle sue esperienze e del suo vissuto. Entrambi, aspetti importanti per delineare la sintomatologia dei disturbi d’ansia che vanno inseriti soprattutto in un contesto personale consentendo di comprendere il senso che la persona attribuisce a ciò che vive.
Conclusioni
In conclusione la sintomatologia dell’ansia ha diversi significati profondi, affettivi, cognitivi e comportamentali.
La funzionalità adattiva dell’ansia ha la sua importanza in quanto orienta l’azione di fronteggiamento e di gestibilità della situazione in atto legata in qualche modo alla sopravvivenza e comunque rende vitale l’individuo.

I disturbi d’ansia sono alquanto frequenti e riguardano la sfera emotiva/affettiva. Per una maggiore comprensione, ogni approccio psicologico offre un proprio contributo significativo e l’integrazione permette un quadro completo sulle componenti emotive, cognitive e comportamentali interessate. Per comprendere il disturbo sintomatico è quindi importante collocarlo nel contesto della personalità del soggetto che lo manifesta dando senso al suo personale significato.

Gestire l’ansia significa imparare a sentire i propri stati e a regolarsi., individuare risorse interne e strategie che permettono di ridurre gli effetti esagerati e incontrollabili che tale disturbo sollecita. Importante quindi, distinguere l’ansia funzionale adattiva secondo meccanismi storici di sopravvivenza, dall’ansia disfunzionale che si concretizza con i disturbi d’ansia, causa di insofferenza intrapsichica, affettiva e spesso interpersonale.
Autore: Marialba Albisinni

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